Skip to main content

La sicurezza di un Ospedale, il comfort di una clinica Privata

Colon Retto

Dott. Luigi De Santis

Prof. Emanuele Lezoche

Prof. Vito Maria Stolfi

Prof. Marco Lombardi

Dott. Roberto Verzaro

Il colon-retto: che cos’è?


Il colon e il retto sono le ultime porzioni dell’intestino, a sua volta parte terminale del sistema digestivo del corpo umano. Questo lungo “tubo” (nell’adulto la lunghezza raggiunge i 7-8 metri) ripiegato su sé stesso, si suddivide in

• intestino tenue, o “piccolo” intestino,
• intestino crasso o “grande” intestino, di cui colon e retto fanno parte.
Il primo è una sorta di cilindro a U essenzialmente costituito da fibre muscolari, che si trova sotto lo stomaco, e il secondo, al primo collegato, è un tubo più corto che termina con l’orifizio anale. Insieme colon e retto misurano circa 2 metri di lunghezza, e sono circondati da altri organi addominali tra cui milza, fegato, pancreas, vescicae organi della riproduzione. Questa contiguità spiega come spesso sia difficile “districarsi” tra dolori e disturbi addominali e capire a quale organo interno attribuire tale sintomo. Il colon e il retto sono “attaccati” alla parete addominale tramite pieghe di tessuto chiamato mesentere. Ma esattamente qual è l’anatomia di queste porzioni terminali dell’intestino? Il colon, che del crasso costituisce la sezione più lunga, è a sua volta suddiviso in 4 parti:
1. Colon ascendente: come intuibile, è l’inizio del colon, situato nel quadrante destro dell’addome, e si posiziona verso l’alto confluendo in una piega dello stesso colon chiamata flessura epatica
2. Colon traverso: procede dall’ascendente, a cui è unito dalla flessura epatica, e si distende trasversalmente rispetto alla parte superiore dell’addome. Termine con una piega chiamata flessura splenica (perché contigua alla milza), o anche colica di sinistra o ancora flessura lienale
3. Colon discendente: si trova nella parte sinistra dell’addome e procede dal traverso e dalla flessura splenica
4. Colon sigmoide: ultima porzione del colon, che si collega con il retto
Il retto, l’ultima parte di intestino, è lungo circa 15 cm e termina con l’orifizio anale.

Colon e retto sono costituiti da tre tipi principali di tessuto di rivestimento (o tonache):


• Tonaca mucosa: riveste la parte interna di questo organo tubulare ed è a sua volta fatta di tessuto epiteliale, tessuto connettivo e fibre muscolari;
• Tonaca sottomucosa: è uno strato di tessuto connettivo che avvolge la mucosa, al cui interno troviamo ghiandole che secernono muco, vasi sanguigni e linfatici e nervi;
• Tonaca muscolare: circonda la sottomucosa e quindi le pareti di colon e retto ed è sostanzialmente un sottile strato di muscolatura liscia circolare nella parte più interna, e longitudinale in quella più esterna;
• Tonaca sierosa: è lo strato più esterno che però nel retto è quasi assente;
Vediamo come funzionano, ovvero la fisiologia, di colon e retto.

Le principali patologie del colon-retto


Disturbi funzionali del colon:
• Stipsi: Si verifica quando la funzione fisiologica della defecazione risulta difficoltosa, dolorosa, inadeguata, non frequente quanto sarebbe auspicabile. Tra le cause più frequenti di stitichezza cronica si annoverano una dieta troppo povera di fibre, disidratazione, sovrappeso e sedentarietà, malformazioni o malattie infiammatorie dell’intestino
• Sindrome del colon irritabile: non è una malattia vera e propria ma una disfunzione che si può manifestare nei soggetti molto sensibili o sotto stress con sintomi come stitichezza alternata a diarrea, spasmi addominali, meteorismo (formazione di bolle gassogene nel colon che premono contro le pareti causando colore e gonfiore), digestione difficoltosa. All’origine di questo disturbo molto frequente vi è una anomala contrazione della muscolatura del colon
Disturbi strutturali del retto:
• Emorroidi (interne o esterne). Si tratta di varici (vene ingrossate in cui si formano ristagni di sangue) che possono irritarsi e sanguinare provocando dolore e problemi durante la defecazione
• Ragadi anali. Fessurazioni dolorose che si formano intorno all’orifizio anale
• Ascesso perianale. Si forma quando le piccole ghiandole che circondano l’ano si ingrossano e si infettano riempiendosi di pus
• Fistola anale. In genere rappresentano una evoluzione di un ascesso anale, con formazione di una sorta di “canale” tra la ghiandola infiammata e la pelle che riveste la zona perianale, in cui si accumula il pus

Malattie del colon e del retto:
• Diverticolite. Infiammazione dei diverticoli, piccole estroflessioni a forma di dita di guanto che in alcuni soggetti sono congenite e che non costituiscono problema finché non si irritano, in genere a causa di un accumulo nelle loro cavità di frammenti di cibo o di feci
• Polipi al colon. Si tratta di neoformazioni benigne ma definite precancerose, perché in alcuni casi possono degenerare e trasformarsi in tumori maligni
• Colite. È l’infiammazione del colon che può essere di diversi tipi a seconda delle cause. Tra le più comuni:
• Colite ulcerosa, malattia infiammatoria cronica dalle cause in parte ignote (anche se si sospetta una componente autoimmune e genetica) che provoca dolore addominale, emissione di sangue e/o muco dal retto, difficoltà nell’evacuazione, malassorbimento e dimagrimento
• Morbo di Crohn, simile alla colite ulcerosa ma ancora più esteso perché colpisce tutto il tubo digerente, non solo il colon e il retto
• Colite infettiva, provocata da gastroenteriti virali o intossicazioni alimentari
• Colite ischemica, causata da un insufficiente afflusso di sangue verso il colon
• Cancro del colon. In aumento tra la popolazione adulta dei paesi occidentali, questa malattia tumorale può essere di diversi tipi, e più o meno aggressiva. Il più frequente (90% dei casi circa), è l’adenocarcinoma, che ha origine dalle ghiandole che si trovano nella mucosa colorettale


Esami utili e sintomi da non trascurare

Quali sono i più comuni sintomi di un disturbo a carico del colon e/o del retto? Abbiamo visto come questi organi così delicati possano alterarsi facilmente, ma purtroppo non sempre le patologie più serie sono anche quelle che danno i segnali più “forti”. Spesso accade il contrario. Una disfunzione benigna come la sindrome del colon irritabile, ad esempio, si esprime con un ampio ventagli di malesseri che possono “spaventare” chi ne soffre creando forti disagi a livello fisico che si ripercuotono anche sulla sfera psicologica e arrivano a limitare la vita sociale. Viceversa, un tumore al colon può essere del tutto asintomatico fino ad uno stadio abbastanza avanzato. Ma vediamo quali sono i segnali da non sottovalutare mai:
• Stipsi e diarrea alternate
• Sangue nelle feci, feci molto scure (possibile segno di sangue occulto)
• Emissione di sangue e/o muco dal retto durante la defecazione
• Feci che cambiano aspetto, colore, o che assumono forme curiose, ad esempio appaiono eccessivamente sottili
• Dimagrimento inspiegabile
• Anemia, carenze nutrizionali
• Inappetenza
• Meteorismo cronico, flatulenza, gonfiore addominale persistente
• Dolori addominali, crampi, spasmi al colon
• Dolore anale, difficoltà a defecare

In presenza di disturbi e anomalie nella funzionalità del colon e del retto, è necessario sottoporsi a controlli. La prima cosa da fare è quindi recarsi dal proprio medico di base per una visita obiettiva con palpazione dell’addome. Se vengono ravvisate alterazioni o la descrizione dei sintomi è tale da giustificare una preoccupazione, in genere si viene indirizzati da uno specialista in gastroenterologia o il medico prescrive direttamente degli esami di screening diagnostico (ad es. se si sospetta un tumore al colon), tra cui:
• Esame delle feci per la ricerca del sangue occulto
• Colonscopia, esame fondamentale per rilevare malattie infiammatorie croniche del colon, così come la presenza di polipi o di tumori. Si effettua introducendo una sonda dotata di micro videocamera attraverso l’orifizio anale, in modo da osservare accuratamente l’interno del colon e delle sue anse. Le immagini “in diretta” vengono trasmesse e proiettate su uno schermo. Durante l’esame è possibile effettuare una biopsia, ovvero il prelievo di piccoli frammenti di mucosa per l’analisi istologica. La colonscopia è un esame invasivo, che si effettua previa preparazione (una dieta e l’assunzione di lassativi nei giorni precedenti), ma non è doloroso, anche se il paziente viene blandamente sedato per evitare anche il minimo fastidio
• Colonscopia virtuale. Si esegue come una TAC, in cui le immagini dell’interno dell’intestino vengono acquisite attraverso l’esposizione a basse dosi di radiazioni. La preparazione è la stessa che precede la colonscopia tradizionale ma l’esame non è invasivo. Per questa ragione non può essere eseguita, in questo caso, la biopsia
TAC addominale


TUMORE DEL COLON RETTO

L’intestino è l’organo deputato all’assorbimento delle sostanze nutritive che provengono dall’alimentazione. Esso ha una lunghezza di circa 7 metri (ma può variare dai 4 ai 10 metri o anche più) ed è suddiviso in intestino tenue, o piccolo intestino (a sua volta ripartito in duodeno, digiuno e ileo), e intestino crasso, o grosso intestino. Quest’ultima parte è formata dal colon destro o ascendente (con l’appendice), dal colon trasverso, dal colon sinistro o discendente, dal sigma e dal retto.
Il tumore del colon-retto è dovuto alla proliferazione incontrollata delle cellule della mucosa che riveste internamente questo organo. C’è anche chi distingue tra tumore del colon vero e proprio e tumore del retto, ovvero dell’ultimo tratto dell’intestino, in quanto possono manifestarsi con modalità e frequenze diverse.
La Nuova Clinica Annunziatella si occupa della diagnosi e del trattamento del cancro colo-rettale.

Tipologie


La maggior parte dei tumori del colon-retto deriva dalla trasformazione in senso maligno di polipi, ovvero di piccole escrescenze dovute al proliferare delle cellule della mucosa intestinale. I polipi sono considerati forme precancerose, sebbene rientrino nelle patologie benigne. Il polipo può essere definito, in base alle sue caratteristiche, sessile (cioè con la base piatta) o peduncolato (ovvero attaccato alla parete intestinale mediante un piccolo gambo).
Non tutti i polipi, però, sono a rischio di malignità. Ve ne sono infatti tre diversi tipi: i cosiddetti polipi iperplastici (cioè caratterizzati da una mucosa a rapida proliferazione), amartomatosi (detti anche polipi giovanili e polipi di Peutz-Jeghers) e adenomatosi. Solo questi ultimi costituiscono lesioni precancerose e di essi solo una piccola percentuale si trasforma in neoplasia maligna.
La probabilità che un polipo del colon evolva verso una forma invasiva di cancro dipende dalla dimensione del polipo stesso: è minima (inferiore al 2%) per dimensioni inferiori a 1,5 cm, intermedia (2-10%) per dimensioni di 1,5-2,5 cm e significativa (10%) per dimensioni maggiori di 2,5 cm. Una volta trasformatasi in tessuto canceroso, la mucosa intestinale può presentarsi con caratteristiche diverse a seconda dell’aspetto visibile al microscopio, e di conseguenza prendere un nome diverso: adenocarcinoma, adenocarcinoma mucinoso, adenocarcinoma a cellule ad anello con castone, carcinoma (più raro). Inoltre tutti i cancri del colon-retto possono avere un aspetto a polipo, a nodulo oppure manifestarsi con ulcere della mucosa.

Evoluzione


È possibile determinare con un prelievo di sangue i valori di CEA (antigene carcino-embrionario): questo marcatore, di scarsa utilità nella diagnosi precoce e nello screening, riveste invece un ruolo importante per valutare la gravità e l’andamento della malattia, in quanto la concentrazione è direttamente collegata all’estensione del cancro. Il CEA è anche utile nel monitoraggio della risposta al trattamento farmacologico (scende infatti se la chemioterapia è efficace) o per la verifica della ripresa della malattia (risale in caso di ricadute). Oltre al CEA viene utilizzato anche un altro marcatore, meno specifico (è più indicativo nel cancro del pancreas), il CA 19.9 detto anche GIKA.
Per lo studio della gravità del tumore viene oggi utilizzata anche l’analisi genetica, alla ricerca di alcuni geni mutati che sono indicativi di una prognosi peggiore.
Contrariamente agli altri tipi di cancro, per i quali esiste una classificazione pressoché univoca, per il tumore del colon-retto esistono diverse forme di classificazione, sulle quali non sempre i diversi medici concordano. La più usata resta comunque quella che si riferisce al sistema TNM (dove T sta per la dimensione del tumore, N per il numero di linfonodi coinvolti e M per le metastasi).

Chi è a rischio


Molte sono le cause che concorrono a determinare la malattia: tra esse ne sono state individuate alcune legate alla dieta e all’alimentazione, altre genetiche e altre di tipo non ereditario.
• Fattori nutrizionali: molti studi dimostrano che una dieta ad alto contenuto di calorie, ricca di grassi animali e povera di fibre è associata a un aumento dei tumori intestinali; viceversa, diete ricche di fibre (cioè caratterizzate da un alto consumo di frutta e vegetali) sembrano avere un ruolo protettivo.
• Fattori genetici: è possibile ereditare il rischio di ammalarsi di tumore del colon-retto se nella famiglia d’origine si sono manifestate alcune malattie che predispongono alla formazione di tumori intestinali. Tra queste sono da segnalare le poliposi adenomatose ereditarie (tra cui l’adenomatosi poliposa familiare o FAP, la sindrome di Gardner e quella di Turcot) e quella che viene chiamata carcinosi ereditaria del colon-retto su base non poliposica (detta anche HNPCC o sindrome di Lynch). Si tratta di malattie trasmesse da genitori portatori di specifiche alterazioni genetiche, e che possono anche non dar luogo ad alcun sintomo. La probabilità di trasmettere alla prole il gene alterato è del 50 per cento, indipendentemente dal sesso.
• Fattori non ereditari: sono importanti l’età (l’incidenza è 10 volte superiore tra le persone di età compresa tra i 60 e i 64 anni rispetto a coloro che hanno 40-44 anni), le malattie infiammatorie croniche intestinali (tra le quali la rettocolite ulcerosa e il morbo di Crohn), una storia clinica passata di polipi del colon o di un pregresso tumore del colon-retto. Polipi e carcinomi che non rientrano tra le sindromi ereditarie illustrate sopra vengono definiti “sporadici”, sebbene anche in questo caso sembra vi sia una certa predisposizione familiare. Si stima che il rischio di sviluppare un tumore del colon aumenti di 2 o 3 volte nei parenti di primo grado di una persona affetta da cancro o da polipi del grosso intestino
Quanto è diffuso

Nei Paesi occidentali il cancro del colon-retto rappresenta il secondo tumore maligno per incidenza e mortalità , dopo quello della mammella nella donna e il terzo dopo quello del polmone e della prostata nell’uomo.
La malattia, abbastanza rara prima dei 40 anni, è sempre più frequente a partire dai 60 anni, raggiunge il picco massimo verso gli 80 anni e colpisce in egual misura uomini e donne. In Italia, si stima che questo tumore colpisca circa 40.000 donne e 70.000 uomini ogni anno. L’incidenza è in aumento nella popolazione femminile per via delle abitudini di vita sempre più uniformi tra i due sessi.
Negli ultimi anni, come detto prima, si è assistito a un aumento del numero di tumori, ma anche a una diminuzione della mortalità, attribuibile soprattutto a un’informazione più adeguata, alla diagnosi precoce e ai miglioramenti nel campo della terapia.
Prevenzione
La prevenzione ideale, cosiddetta primaria, si basa sulla correzione dei fattori di rischio eliminabili (dieta, mancanza di attività fisica, fumo, alcol…). Se una persona sa di essere a rischio elevato perché ha avuto parenti con questo tumore in uno o l’altro dei rami familiari, è opportuno che adotti una dieta con pochi grassi e poca carne e ricca di fibre, vegetali e frutta.
La prevenzione di maggior impatto è però quella che passa attraverso la rimozione delle lesioni precancerose (polipi) che possono precedere di anni lo sviluppo del tumore. L’identificazione precoce di queste lesioni, o almeno la diagnosi precoce di cancro guaribile, è alla base dei programmi di screening rivolti alla popolazione generale.
In Italia sono attivi Programmi Regionali di screening di popolazione che si basano sulla ricerca di sangue occulto nelle feci, ogni 2 anni, nei soggetti di età superiore a 50 anni. Se il test risulta positivo, diventa obbligatorio sottoporsi a una colonscopia che confermi o escluda un tumore quale causa della positività al test.
La ricerca del sangue occulto nelle feci è in grado di identificare il 25% circa dei cancri del colon-retto. È raccomandata per tutti gli individui tra i 50 e i 75 anni di età, con cadenza biennale. Se viene associata a una colonscopia (ovvero a un esame del colon con un apposito tubo flessibile), effettuata ogni 10 anni dopo i 50 anni di età, è in grado di individuare il 75% dei tumori.
È invece certo che tutti coloro che manifestano sintomi intestinali compatibili con la diagnosi di tumore del colon e coloro che hanno avuto un familiare con queste patologie devono eseguire una colonscopia completa. In questo caso l’esame viene ripetuto più frequentemente, in genere ogni cinque anni, mentre la ricerca del sangue occulto nelle feci viene fatta ogni anno.
Attenzione particolare allo screening per il cancro colorettale dovrebbero avere i soggetti che hanno familiarità (parenti di I° grado) per questo tipo di tumore. Le linee-guida internazionali vigenti raccomandano che queste persone anticipino a 40 anni l’esecuzione della prima colonscopia.

Sintomi
Nella maggior parte dei casi i polipi non danno sintomi; solo nel 5% dei casi possono dar luogo a piccole perdite di sangue rilevabili con un esame delle feci per la ricerca, come detto, del cosiddetto “sangue occulto”.
Il tumore del colon-retto si manifesta, nella metà dei casi, nel sigma (ovvero nell’ultima parte del colon vero e proprio) e nel retto; in un quarto di malati è il colon ascendente a essere colpito, mentre la localizzazione della malattia nel colon trasverso e in quello discendente si verifica in un caso su cinque circa.
Al momento della diagnosi, circa un terzo dei malati presenta già metastasi a livello del fegato e, comunque, una parte delle persone colpite andrà incontro a una diffusione della malattia a livello del fegato, perché i due organi sono strettamente collegati dal punto di vista della circolazione sanguigna. I sintomi sono molto variabili e condizionati da diversi fattori quali la sede del tumore, la sua estensione e la presenza o assenza di ostruzioni o emorragie: ciò fa sì che le manifestazioni del cancro siano sovente sovrapponibili a quelle di molte altre malattie addominali o intestinali. Per questo sintomi precoci, vaghi e saltuari quali la stanchezza e la mancanza di appetito, e altri più gravi come l’anemia e la perdita di peso, sono spesso trascurati dal paziente. Talora una stitichezza ostinata, alternata a diarrea, può costituire un primo campanello d’allarme.
Diagnosi
Il tumore del colon-retto viene oggi diagnosticato sempre più precocemente grazie alle campagne di screening sulla popolazione a rischio.
Esistono poi diverse indagini strumentali che permettono di diagnosticare il tumore e, in seguito, di eseguirne la stadiazione, per valutarne l’estensione.
L’esame più specifico è la colonscopia che, grazie alla possibilità di eseguire una biopsia, consente di fare subito l’analisi istologica, ovvero l’esame del tessuto.
Per il tumore del retto, possono risultare utili per stabilire il percorso terapeutico anche:
-ecoendoscopia (EUS): è una metodica che si avvale di una minuscola sonda a ultrasuoni, introdotta nel retto attraverso un endoscopio. Gli ultrasuoni penetrano in profondità nei tessuti, rivelando così l’eventuale diffusione del tumore nei vari strati della parete intestinale e lo stato dei linfonodi regionali. L’ecoendoscopia permette anche di effettuare biopsie di questi linfonodi.
• Inoltre ci si può avvalere anche della TC addome con mezzo di contrasto: essa permette di valutare i rapporti con gli organi circostanti, lo stato dei linfonodi e le eventuali metastasi presenti nell’addome. Per identificare l’esistenza di metastasi a distanza si può fare una radiografia del torace (o una TC torace, se indicata), un’ecografia epatica, una scintigrafia ossea e la biopsia di eventuali lesioni. Talvolta vengono utilizzati a questo scopo anche la risonanza magnetica o la PET (tomografia a emissione di positroni).
La stadiazione anatomo-patologica, invece, avviene attraverso l’analisi dei linfonodi asportati insieme al tumore e guida all’esecuzione o meno di chemioterapia postoperatoria.

Colonscopia virtuale


Negli ultimi anni lo straordinario miglioramento della sensibilità della tomografia assiale computerizzata (TAC) e lo sviluppo di software dedicati all’analisi dell’immagine hanno consentito di proporre questa tecnica come alternativa alla colonscopia tradizionale.
La colonscopia virtuale utilizza immagini acquisite mediante macchine TAC di ultima generazione che vengono poi elaborate dal computer allo scopo di fornire un’analisi dettagliata della superficie interna del colon, senza dover introdurre un colonscopio. Immediatamente prima dell’esame è necessario insufflare l’intestino, attraverso una piccola sonda inserita nel retto, con aria o meglio con CO2, senza alcun fastidio per il paziente. La preparazione all’esame, che fino a qualche tempo fa era identica a quella per la colonscopia e quindi costituiva la parte più fastidiosa della procedura, è oggi molto più leggera e assolutamente ben tollerata. L’esame può essere particolarmente vantaggioso per le persone anziane e per coloro che per qualsiasi motivo sono impossibilitate a sottoporsi alla colonscopia.
La colonscopia virtuale, se eseguita da radiologi esperti, è accurata tanto quanto la colonscopia nell’individuazione dei polipi e dei tumori, anche se naturalmente non permette di asportare i polipi o eseguire biopsie. Inoltre la colonscopia virtuale, nel caso di individuazione di un tumore del colon, consente una stadiazione immediata della malattia mediante l’analisi di tutte le strutture esterne all’intestino (linfonodi, fegato).
Come si cura
La chirurgia è la forma più frequente ed efficace di trattamento del tumore colorettale. Il tipo di intervento è scelto in base allo stadio della malattia:
• La chirurgia delle lesioni precoci
La mucosectomia endoscopica, di recente introduzione nella pratica clinica, consente la rimozione dei tumori più superficiali, limitati alla mucosa.
Se il patologo determina che il tumore è stato rimosso completamente, non sarà necessario sottoporsi ad altre cure.
In caso di tumori nel retto, in stadio iniziale e non asportabili durante la colonscopia, viene effettuta l’asportazione transanale con tecnica endoscopica microchirurgica (TEM) che consente la rimozione di queste neoformazioni con un elevato indice di sicurezza.
• La chirurgia del tumore invasivo
Se il tumore ha invaso gli strati profondi della parete del colon o non è possibile rimuovere la lesione durante una coloscopia, allora è necessario asportare parte del grosso intestino. Questo intervento consiste nel rimuovere la porzione di colon interessata dal tumore e un margine di tessuto sano ad entrambi i lati della massa. Insieme al tumore vengono asportati i linfonodi regionali, che saranno esaminati per escludere metastasi linfonodali.
Infine, la continuità dell’intestino viene ripristinata mediante il ricongiungimento dei monconi intestinali sani (anastomosi). Se non è possibile ricongiungere i due monconi sani del colon, il chirurgo deve confezionare una stomia: il moncone intestinale prossimale viene abboccato alla cute dell’addome permettendo una corretta espulsione delle feci, che vengono raccolte in un sacchetto apposito. Spesso la stomia è solo temporanea e la continuità intestinale viene ripristinata nuovamente mediante un secondo intervento. Tuttavia, qualche volta può essere necessario confezionare una stomia permanente.
 
Questo tipo di intervento può essere eseguito mediante tecnica tradizionale o con tecnica mini-invasiva (laparoscopia), che sostituisce alle ampie incisioni addominali piccoli fori attraverso i quali viene eseguito l’intervento e che permette un decorso post-operatorio più agevole (meno dolore, minori complicanze, degenza più breve). Il recupero dopo l’intervento chirurgico è ulteriormente favorito dall’adozione di protocolli di gestione perioperatoria, in grado di ridurre l’impatto della procedura sull’equilibrio fisiologico del paziente (protocollo ERAS).
Il carcinoma del colon-retto, come altre patologie oncologiche, richiede un approccio multidisciplinare che vede coinvolti gli oncologi e i radioterapisti, per pianificare la strategia terapeutica più opportuna e l’eventuale necessità di procedere con trattamenti combinati.
Tra i trattamenti disponibili, la chemioterapia svolge un ruolo fondamentale sia nella malattia operabile sia in quella avanzata non operabile. Diversi studi hanno dimostrato l’efficacia di un trattamento chemioterapico cosiddetto adiuvante, cioè effettuato dopo l’intervento chirurgico per diminuire il rischio di ricaduta. Sono positivi anche i risultati degli studi sulla terapia neoadiuvante, cioè effettuata prima dell’intervento per ridurre la dimensione del tumore e facilitare il compito del chirurgo.
Un discorso a parte meritano i farmaci biologici. Il bevacizumab è un anticorpo monoclonale, diretto contro la proteina VEGF. È indicato come trattamento per il tumore del colon-retto avanzato in associazione alla chemioterapia. Il cetuximab è un anticorpo monoclonale diretto contro la proteina EGFR ed è stato registrato per l’uso in combinazione con irinotecan (un chemioterapico classico) nei pazienti già trattati per tumore del colon avanzato, con cellule tumorali positive per EGFR. È in corso di registrazione l’erlotinib, una piccola molecola diretta contro EGFR, somministrabile per bocca.
Nei casi in cui il tumore sia già diffuso al fegato (la sede più comune di metastasi) al momento della diagnosi, la chemioterapia, eventualmente associata all’immunoterapia con nuovi farmaci biologici, viene spesso somministrata prima di altri trattamenti, con l’intento di far regredire o stabilizzare le lesioni nel fegato fino a consentirne l’asportazione chirurgica.
La chemioterapia e/o l’immunoterapia con nuovi farmaci biologici vengono inoltre impiegate nella fasi avanzate, in presenza di metastasi, con l’obiettivo di rallentare l’evoluzione della malattia.
Per stabilire se i nuovi farmaci biologici, che agiscono in modo diverso rispetto ai chemioterapici tradizionali, siano efficaci o meno in un singolo paziente, può essere indicato eseguire indagini molecolari sul materiale istologico ottenuto con l’intervento chirurgico o con una biopsia. Numerosi studi dimostrano infatti che le persone il cui tumore presenta la mutazione di un gene particolare detto KRAS non rispondono ad alcuni farmaci antitumorali mirati. Con l’esame della mutazione del gene di KRAS si evita così di somministrare ai pazienti che rientrano in questo gruppo regimi di trattamento da cui non trarrebbero alcun beneficio.
Infine, nel tumore del retto, la radioterapia sia pre sia post operatoria, a seconda delle indicazioni, svolge un ruolo fondamentale: è stato dimostrato infatti che essa è in grado di diminuire le ricadute locali e di allungare la sopravvivenza. Spesso il trattamento radiante viene associato alla chemioterapia per potenziarne l’effetto terapeutico sia in fase preoperatoria che in fase post-operatoria.

Stipsi da rallentato transito
Che cos’è la stipsi da rallentato transito?
La stipsi, stitichezza, da rallentato transito consiste in un transito più lento delle feci attraverso il colon.
Quali sono la cause della stipsi da rallentato transito?
La stipsi può essere causata da scelte alimentari che prevedono uno scarso consumo di fibre e di liquidi, da alterazioni creatasi nelle pareti interne del colon e da cause motorie relative a tutto il colon o a una sola parte di esso.
La conseguenza è una fatica a defecare, e la sensazione, dopo l’evacuazione, di non essere riusciti a svuotarsi completamente.
La stipsi da rallentato transito può essere causata anche dalla presenza di altre patologie o dall’uso di particolari farmaci.
Il morbo di Parkinson provoca stipsi sia perché causa un rallentamento all’interno del colon, sia perché influisce sulla struttura dello sfintere, procurandone un rilassamento.
Situazioni, queste peggiorate dai farmaci anti-Parkinson. Altri farmaci che possono indurre stipsi sono quelli anti-depressivi e quelli morfinici.
Quali sono i sintomi della stipsi da rallentato transito?
Quando si è soggetti a stipsi da rallentato transito per prima cosa le evacuazioni diminuiscono di numero. In secondo luogo le feci tendono a indurirsi e a ridursi di dimensione. Lo stomaco si gonfia e viene avvertito un dolore addominale diffuso.
Accanto a dolori, gonfiori, prolassi, la stipsi può avere come conseguenze una situazione di bocca amara, la presenza costante di cefalee (mal di testa), e una sensazione diffusa di malessere, con frequenti nausee.
Come può essere individuata la stipsi da rallentato transito
La stipsi da rallentato transito viene identificata attraverso la defecografia, esame radiologico indolore che produce lastre che vengono lette dallo specialista colonproctologo.
Come si può curare la stipsi da rallentato transito?
La stipsi da rallentato transito si cura anzitutto intervenendo sull’alimentazione, indirizzando il paziente verso una dieta che preveda un maggior consumo di fibre e liquidi e con la prescrizione di farmaci lassativi, emollienti/lubrificanti e anticolinesterasici.
L’intervento chirurgico, con asportazione di tutto o parte del colon, viene previsto solo per casi rari, che riguardino patologie di natura organica.

POLIPI DEL COLON

Cosa sono i polipi del colon?
Un polipo è una crescita anormale di tessuto a partire dalla mucosa, normalmente liscia, del colon.
I polipi del colon possono essere
• piatti (polipo sessile),
• sporgenti rispetto alla parete intestinale come un fungo (polipo peduncolato).
L’intestino crasso è un lungo tubo cavo posto alla fine del tubo digerente, la cui funzione è di assorbire l’acqua dalle feci per renderle più solide (le feci sono i rifiuti che passano attraverso il retto e l’ano grazie a un movimento intestinale).
Chiunque può presentare polipi, ma sono stati individuati alcuni fattori di rischio specifici:
• età superiore ai 50 anni,
• precedente presenza di polipi del colon,
• famigliarità per polipi o tumore al colon.
La maggior parte dei polipi del colon non causa sintomi, ma quando questi fossero presenti potrebbero essere:
• presenza di sangue sulla biancheria intima o su carta igienica dopo un movimento intestinale,
• sangue nelle feci,
• stitichezza o diarrea di durata superiore a una settimana.
La maggior parte dei polipi non è pericolosa, tuttavia alcuni potrebbero trasformarsi in tumore; per questa ragione i medici procedono alla loro rimozione durante la colonscopia ed eventualmente ne possono richiedere l’analisi per dirimere qualsiasi dubbio.
I polipi sono il cancro del colon?
Alcuni polipi del colon sono benigni, il che significa che non sono tumori, tuttavia altri tipi di polipi possono già essere cancro o possono diventarlo.
I polipi piatti possono essere più piccoli e difficili da vedere e hanno maggiori probabilità di essere maligni rispetto ai polipi in rilievo; la probabilità che un polipo intestinale evolva in una forma maligna e invasiva è strettamente correlata alla dimensione del polipo stesso, maggiore è la dimensione, maggiore è il rischio di trasformazione tumorale.
Possono essere rimossi durante la colonscopia, l’esame utilizzato per verificare la presenza di polipi del colon; rimuovendo il polipo si interrompe la possibile catena polipo-tumore, quindi una diagnosi precoce permette ampie possibilità di successo terapeutico.
Chi manifesta i polipi del colon?
Chiunque può manifestare la presenza di polipi nel colon, ma alcuni soggetti hanno maggiori probabilità di svilupparli rispetto ad altri; sono a maggior rischio:
• pazienti con 50 anni o più,
• pazienti che hanno già avuto polipi in passato,
• soggetti con famigliarità a questo problema (parenti con lo stesso disturbo),
• pazienti con famigliarità di tumore al colon,
• pazienti affetti da malattie infiammatorie intestinale (morbo di Crohn o rettocolite ulcerosa).
Sono invece fattori di rischio:
• dieta ipercalorica,
• fumo,
• alcol,
• scarsa attività fisica,
• sovrappeso od obesità.
Quali sono i sintomi dei polipi al colon?
La maggior parte delle persone con polipi al colon non manifesta alcun sintomo, tanto che spesso infatti non si è consapevoli della loro presenza (solitaria, o di polipi multipli) fin quando il medico non ritiene utile prescrivere a un check-up periodico o altra analisi correlata.
Quando presenti i sintomi principali sono:
• Sanguinamento dall’ano. L’ano è l’apertura alla fine del tubo digerente attraverso il quale il corpo rilascia le feci. Si potrebbero notare delle tracce di sangue nella biancheria intima o sulla carta igienica dopo aver defecato.
• Stitichezza o diarrea che dura più di una settimana.
• Sangue nelle feci. Il sangue nelle feci può apparire nero o può avere striature rosse.
• Muco nelle feci.
• Stanchezza, a causa di una progressiva anemia dovuta alla carenza di ferro provocata dal sanguinamento dei polipi.
Se si accusa uno qualsiasi di questi sintomi è molto importante consultare un medico per una diagnosi corretta e tempestiva.
Come fa il medico a rilevare i polipi del colon?
È possibile utilizzare uno o più test per verificare la presenza di polipi del colon,esami consigliati in genere ai pazienti con più di 50 anni e/o con famigliarità al problema.
• Clisma opaco. Il medico somministra un liquido chiamato contenente bario nel retto prima di una radiografia. Il bario rende l’intestino bianco ed i polipi scuri, quindi facili da vedere.
• Sigmoidoscopia. Con questo test il medico mette un sottile tubo flessibile nel retto. Il tubo si chiama sigmoidoscopio ed ha una luce al suo interno. Il medico utilizza il sigmoidoscopio per guardare l’ultima sezione dell’intestino crasso.
• Colonscopia. Quest’esame è come la sigmoidoscopia, ma il medico analizza l’intero intestino crasso con un lungo tubo flessibile in grado di mostrare le immagini su uno schermo. Attraverso questo tubo è possibile procedere anche alla rimozione dei polipi eventualmente presenti.
• Colonscopia virtuale. In quest’esame il medico inserisce un cortso e sottile tubo flessibile nel retto per insufflare aria, viene quindi usata una macchina a raggi X che crea immagini dell’intestino, immagini che possono essere visualizzate su uno schermo. Dura meno di una colonscopia perché i polipi non vengono rimossi durante l’esame. Se la scansione mostrasse polipi, una colonscopia permetterà la rimozione.
• Esame delle feci. Il medico chiederà di portare un campione di feci in un contenitore. Le feci verranno esaminate in laboratorio per rinvenire segni di cancro, come ad esempio modifiche del DNA o la presenza di sangue.
Cura
La medicina ha a disposizione diversi approcci utili alla cura dei polipi, intendendo per “cura” la rimozione delle escrescenze; poiché non c’è modo ad oggi di prevedere l’eventuale evoluzione maligna, è generalmente consigliata l’asportazione di tutti i polipi.
Premesso che non è possibile intervenire attraverso farmaci, l’approccio di elezione consiste nella loro escissione durante la colonscopia; il colonscopio, lo strumento introdotto nell’ano che permette di eseguire l’esame, è infatti dotato di strumenti utili allo scopo (ansa o pinza metallica, attraversi cui si procede alla cauterizzazione/taglio dell’escrescenza).
In casi eccezionali i polipi potrebbero dover essere trattati rimuovendo chirurgicamente parte dell’intestino, per esempio in presenza di formazioni particolarmente grandi o per tratti di intestino con numerosissimi polipi (in realtà si tratta di un’evenienza sempre più rara grazie alle nuove tecnologie disponibili).
A seguito dell’escissione i polipi vengono inviati in laboratori specializzati per essere analizzati e comprenderne così la natura; nuovi polipi si sviluppano in circa un soggetto su due , per questa ragione si procede in genere a periodiche verifiche, a seconda dei casi ad intervalli di 3-5 anni.
Prevenzione dei polipi
Non esiste ancora un modo sicuro per prevenire completamente la formazione di polipi del colon, tuttavia è possibile una riduzione del rischio attraverso alcuni piccoli accorgimenti:
• consumando regolarmente frutta, verdura ed in generale cibi leggeri e poveri di grassi,
• smettendo di fumare,
• riducendo o eliminando gli alcolici,
• limitando il consumo di carne rossa e/o lavorata,
• effettuando regolare esercizio fisico,
• mantenendo un peso appropriato e dimagrendo se necessario.
Alcune ricerche suggeriscono che un maggior consumo di alimenti ricchi di calcio e vitamina D potrebbe ridurre il rischio di sviluppare polipi del colon.
Alcuni alimenti ricchi di calcio sono
• latte,
• formaggio,
• yogurt,
• broccoli.
Mentre la vitamina D è presente in
• uova,
• fegato,
• alcuni tipi di pesci, come il salmone.

Sindrome dell’intestino irritabile

La sindrome dell’intestino irritabile è una condizione molto comune e debilitante, che interessa circa il 10% della popolazione, soprattutto di sesso femminile e con un tasso più alto di prevalenza dai 20 ai 50 anni. È caratterizzata da fastidio o dolore addominale, associati all’alterazione della funzione intestinale ed accompagnati da gonfiore o distensione.

Che cos’è la sindrome dell’intestino irritabile?

La sindrome dell’intestino irritabile, che una volta veniva definita “colite spastica” o “colon irritabile”, si presenta tipicamente con un fastidio o dolore addominale, che migliora dopo l’evacuazione; l’intestino può essere stitico, diarroico oppure di tipo misto, ossia con alternanza fra stipsi e diarrea. Spesso i pazienti sperimentano una riduzione della qualità della vita, e circa il 60% di essi lamenta anche debolezza ed affaticamento.
L’andamento è cronico con carattere fluttuante e nel corso degli anni le riacutizzazioni dei sintomi coincidono con eventi stressanti, sia di tipo fisico (es. interventi chirurgici, infezioni virali o batteriche), che di tipo psichico (es. stress, separazioni, lutti). Le donne ne sono interessate in misura doppia rispetto agli uomini.
Chi soffre di Sindrome dell’Intestino Irritabile spesso presenta sintomi anche di emicrania, ansia, depressione, fibromialgia, fatica cronica, cistite e problemi nella sfera sessuale.

Quali sono le cause della sindrome dell’intestino irritabile?

Le cause sono molteplici e, nello stesso individuo, non è riconoscibile un singolo fattore scatenante. Da un lato vi sono fattori psico-sociali, come il comportamento verso le malattie, aspetti cognitivi ed emotivi; dall’altro fattori biologici, come la predisposizione e la suscettibilità individuale, alterazioni della motilità del tratto digestivo, la sensibilità dei visceri, la percezione soggettiva del dolore, la flora batterica ed infezioni intestinali. A complicare il tutto vi possono essere anche intolleranze ed allergie alimentari, l’utilizzo cronico di farmaci (es anti-infiammatori, antibiotici) e lo stress, che possono avere un ruolo nel determinare e perpetuare la presenza dei sintomi. A livello intestinale c’è il cosiddetto “secondo cervello”, che è in continua comunicazione con il nostro “primo cervello”. Per questo motivo, molti degli eventi stressanti a livello psichico si riflettono sull’intestino, e viceversa (problemi addominali che causano stress psicologici). La Sindrome dell’Intestino Irritabile si presenta spesso in associazione con altri disordini motori del tratto digestivo, come la dispepsia funzionale e la malattia da reflusso gastroesofageo, così come altre patologie, inclusa la malattia celiaca. Un’alta percentuale dei pazienti, inoltre, presenta cefalea, dolori alla schiena, insonnia, debolezza, fibromialgia, dolore pelvico cronico, e dolore all’articolazione temporo-mandibolare.

Quali sono i sintomi della sindrome dell’intestino irritabile?

I sintomi tipici sono definiti da criteri diagnostici internazionali (criteri di Roma). Il dolore o fastidio addominale (insorto almeno sei mesi prima della diagnosi) deve essere presente per almeno 3 giorni al mese negli ultimi 3 mesi, in associazione a 2 o più dei seguenti sintomi:
1. Migliora dopo l’evacuazione
2. Inizialmente è associato con modificazioni della frequenza delle evacuazioni
3. Inizialmente è associato con modificazioni dell’aspetto delle feci
Altri sintomi possono essere:
• Anomala frequenza di evacuazioni (maggiore di 3 al giorno o meno di 3 alla settimana)
• Alterata consistenza delle feci
• Evacuazione difficoltosa (spinta eccessiva, sensazione di urgenza e di evacuazione incompleta)
• Passaggio di muco
• Gonfiore o distensione addominale, talvolta alternati

Diagnosi

La diagnosi si basa sulla classificazione sintomatologica ed è detta di “esclusione”, dal momento che i sintomi sono presenti ma non ci sono malattie organiche specifiche che li giustifichino.
Se sono invece presenti anche sintomi definiti “di allarme”, è necessario procedere conindagini più approfondite (ad esempio la colonscopia) che saranno indicate dal medico curante.
I sintomi di allarme generalmente sono:
• insorgenza dopo i 50 anni di età
• dimagrimento inspiegabile
• anemia
• febbre
• sangue nelle feci
• dolore che non migliora dopo l’evacuazione
Se i sintomi peggiorano in seguito all’ingestione di certi alimenti, sono indicati test diagnostici per escludere allergie oppure un malassorbimento. Fra gli esami da eseguire per escludere altre cause dei sintomi vi sono:
• Colonscopia: consente di esaminare l’intero colon attraverso l’introduzione di uno strumento flessibile con incorporata una telecamera e con un sottile canale attraverso il quale passare la pinza bioptica per eseguire piccoli prelievi di mucosa (biopsie) o per asportare polipi.
• Tomografia computerizzata: riproduce immagini degli organi interni, a livello dell’addome e della pelvi.
• Breath test al lattosio (o test del respiro): l’esame è utile per verificare se è presente la Lattasi che è l’enzima necessario per digerire gli zuccheri (lattosio) presenti nei prodotti caseari (latticini). Se l’enzima è assente, l’ingestione di latticinipuò essere la causa di sintomi tipici della Sindrome dell’Intestino Irritabile e l’eliminazione degli alimenti contenenti lattosio può risolvere i problemi.
• Esami del sangue per la malattia celiaca: la malattia celiaca è dovuta all’allergia al glutine e si può presentare con sintomi simili alla Sindrome dell’Intestino Irritabile.

 

Call Now ButtonChiama